Questa pagina è stata trascritta e formattata, ma deve essere riletta. |
capitolo trentesimoprimo. | 211 |
cui e’ non ci è verso di slegarsi. Forse voi crederete essere io stato a ciò spinto da generosità d’animo; or bene, sappiate per mia vergogna ch’io ad altro fine nol feci, se non per tenere io in mia tasca la licenza, e servirmene all’uopo di smugnere il borsello dello scudiero ogni qual volta me ne venisse appetito, spaventandolo col dire avere io in mano cosa con cui provare innanzi al giudice la verità delle sue nozze.”
Rimbombò allora tutta la camera d’alti viva di allegrezza, la quale si diffuse altresì nella sottoposta prigione comune, ove gl’incarcerati stessi rispondendo alla nostra esultazione:
Crollaro i ceppi, e cupa un’armonia
Mandar di gridi e di stridenti ferri.
Sovra ogni volto apparve dipinta la gioia; e le guance d’Olivia rubiconde anch’esse pel piacere si fecero. Nè poca ventura in fatti era la sua; ricoverando la poveretta in un momento solo e fama e amici e ricchezze. E bastevole bene era tanto tripudio a ravvivare la sfiorita bellezza e lo spirito suo per lunghe sciagure appassito. Ma nessuno forse più di me sentiva la voluttà di quella consolazione: ed avvinghiato al collo della fanciulla, nè saziandomi di baciarla, domandava al mio cuore se quei trasporti di giubbilo non fossero una illusione; poi chiedeva a Jenkinson come gli fosse bastato l’animo di accrescere le mie miserie colla novella acerba della morte di lei; e tosto dicevagli non importare, perocchè la consolazione del riacquistarla valeva il sofferto accoramento, e me ne compensava a più doppi.
“Or non è più tempo,” disse Jenkinson, “di tenerti in parole; e mi è facile il mandarti contento d’una risposta. Argomentai che l’unico mezzo per liberarti dalla prigionia fosse il far sì che ti sottomettessi allo scudiero ed acconsentissi alle nozze di lui coll’altra donna. Ma a