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capitolo trentesimoprimo. | 205 |
“Piano piano, o signore,” esclamò allora Jenkinson: “e’ potrebbe bene essere ch’ella facesse delle parole fango, e profetasse falso. Una cosuccia a me resta a dire sovra una tale fortuna di vossignoria. Dei danari di questa donna ella non ne gusterà un solo quattrinello.” Poi volgendosi al signor Guglielmo: “Può egli essere che costui ottenga la dote di madamigella Wilmot, s’egli è marito ad un’altra?”
Rispose il baronetto, questa essere goffa interrogazione; essendo fuori di dubbio che se la cosa stava così, colui non aveva diritto di esiger dote. “Duolmene,” replicò Jenkinson, “per l’antica amicizia mia collo scudiero, che fu per tanto tempo compagno meco di trastulli: ma bisogna ch’io ’l dica; il contratto di lui non vale un lupino, perchè egli ha già un’altra moglie.”
“Menti per la gola, manigoldo sfacciato,” disse lo scudiero montato come sulle furie per quell’insulto; “io non fui mai legittimamente sposato a donna alcuna.”
“Eppure, con buona licenza di vossignoria, ella lo fu. Ed ufficio d’amico, spero, riconoscerà ella il mio, nel ricondurle una moglie: e se la brigata vuole per pochi istanti frenare la curiosità, vedranla tutti costoro la moglie sua.”
In così dire, coll’usata lestezza e’ partì, lasciando ognuno al buio di quanto egli intendesse di fare. Diceva lo scudiero nulla a lui importare di quell’andata; perchè fra le tante sue reità, impossibile cosa era d’una cotale il produrre alcuna prova, nè essere egli bambolo da spaventare con razzi matti. E ’l signor Guglielmo attribuiva ogni cosa a troppa voglia in Jenkinson di piacevoleggiare bizzarramente.
“E chi sa, diss’io, ch’ei non faccia sul serio più che non si crede! Ponendo noi mente alle diverse arti con cui questo gentiluomo tentò di sedurre l’altrui innocenza, non potrebbe egli essere che ad una donna più scaltra fosse riuscito di gabbar lui? Quante ne ha egli tratte in rovina! Quanti genitori piangono l’infamia di