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208 il vicario di wakefield.

garzone dabbene, non istarà certo per me ch’egli non sia presto promosso a più alto grado nella milizia; ma vi contribuirò con tutta l’opera mia. Via dunque codesta ambizione che vi martella il cuore, ed afferrate una volta la felicità che vi si offre.”

“Signor Guglielmo,” rispose il vecchio, “siate convinto ch’io non ho mai angariati gli affetti della figliuola mia, nè ’l farò adesso. Se ella tuttavia è innamorata di questo giovane soldato, abbiaselo pure; ch’io di tutto cuore mi vi piego. Grazie a Dio, non tutti gli averi sono perduti; e la vostra protezione accrescerà quel poco che ne rimane. Solo che codesto mio antico amico (accennando me) prometta di donare in assegnamento alla mia figliuola sei mila lire, in caso che egli ricoverasse i beni suoi; ed io volentieri sono disposto ad unirli questa notte istessa.”

Non dipendeva che da me solo la felicità de’ giovinetti; laonde senza entrare in forse, mi acconciai tostamente alla domanda del signor Wilmot; il che non fu gran favore, essendo accordato da un uomo così nudo di speranze com’io era. E quelli immantinente noi vedemmo con somma consolazione nostra avventarsi al collo le braccia a vicenda, inebriati d’allegrezza. “Dopo le mie lunghe sciagure,” disse Giorgio, “oh quanta ricompensa io ottengo che tutti i miei desiderii vince! Non avrei, no, osato sperare il possedimento di te, preziosa vergine, dopo le sofferte mie pene.” — “Sì, o mio Giorgio,” rispose l’amabile sposa, “io sono felice davvero; e tu ’l sei, anche senza le mie perdute ricchezze. Rapiscanle dunque a loro posta i ribaldi, che a me non ne incresce per nulla. Oh che fortunata sorte è la mia per avere cambiato il più vile degli uomini nel più caro, nel più savio!” — “Abbiasi colui il godimento delle tue ricchezze, perch’io sento d’essere felice anche in mezzo alla povertà.”

E lo scudiero allora con un ghigno maliziuto: “Sarò felice io pure, godendomi ciò che voi disprezzate.”