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capitolo trentesimo. | 205 |
sposa. Quantunque ogni memoria tu abbia deposta di lui, egli ti amò sempre di tale amore che impossibile gli era il pensare ad altra donna. E spesso l’udii io giurare volere egli morire scapolo, poichè tuo consorte nol poteva.”
Proseguì Debora a dire della amorosa, ingenua passione di Giorgio; poi del duello col signor Thornbill, chiaritane ogni menoma circostanza; poi de’ vituperii dello scudiero e delle finte nozze; e conchiuse con una pittura oltraggiosa della codardia di lui.
“Ahi me misera!” esclamò Arabella; “di che precipizio era io mai sulla sponda! E oh quanta è la mia gioia per esserne scappata! In mille guise s’infinse questo bugiardo. Egli ebbe da ultimo tanta scaltra impudenza, da persuadermi che l’infedeltà dell’unica persona a me cara e a cui io m’era con promesse allacciata, mi scioglieva d’ogni legame; a tale perfino traendomi colle sue infami arti, ch’io dovetti detestare un uomo generoso ed onesto.”
Erano state tolte intanto di dosso a Giorgio le catene, scopertasi l’impostura di colui che si voleva ferito. E il signor Jenkinson adoperandosi intorno al mio figliuolo come un valletto, gli aveva acconciati i capegli e raffazzonata la persona, sicchè colui più non pareva quel sudiciotto di prima. Uscito poi per pochi istanti, tornò egli a noi vestito della bella assisa del suo reggimento: e senza che altri m’incolpi di vanità, perocchè io la disprezzo, dirò ch’egli appariva soldato avvenente e gaio quant’altri mai. Appena giunto sull’uscio, fece un modesto inchino a madamigella Wilmot; e non sapendo ancora quali cambiamenti avesse prodotti nell’animo di lei la materna eloquenza, non volle accostarsele. Ma non valse decoro di fanciulla a trattenere lei impaziente d’ottener dall’amante il perdono. Infiammata di rossore la guancia, piovente lagrime il ciglio, disiosi gli sguardi annunziavano il tumulto del cuore, e quanto dolore ella sentisse di aver potuto obbliare le antiche impromesse e d’essersi lasciata sedurre da un ipocrita vilissimo. Tanto