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la, tacita anch’essa dava a divedere nel volto e negli sguardi una cotale aria di compassione ripiena e di stordimento, e che nuova leggiadria alla bellezza di lei aggiungeva. Fatto ella pensiero che il signor Thornhill non per opprimerci, ma per soccorrerci fosse a noi venuto, a lui così parlò: “A dir vero, mio caro signore, scortesia mi sembra la tua nel voler qui venire senza di me, e nulla mai dirmi dello stato infelice d’una famiglia da entrambi noi amata cotanto. Lo sapevi tu pure che somma sarebbe stata la mia soddisfazione nel contribuire al sollievo di codesto vecchio venerando, un tempo a me precettore, e per cui la mia stima non verrà meno giammai, e sarà viva sempre quanto quella per lui tu senti. Ma veggo che come lo zio tu ami di far del bene in segreto; e fàllo pure se te ne giovi Iddio.”

“Ama di far del bene di’ tu?” esclamò il signor Guglielmo. “No, chè i suoi diletti sono vili al pari di lui. Ravvisa in codesto uomo, o fanciulla, il più vigliacco furfante ch’abbia mai disonorata l’umana razza; uno scellerato che dopo di avere ingannata la figliuola di questo povero vecchio, dopo d’avere tramato iniquamente una congiura contro l’innocenza della sorella di lei, ne cacciò in prigione il padre, ne gravò di ceppi il fratello, onde punirlo dell’avere egli avuto il coraggio di sfidare valoroso a duello il traditore della sua famiglia. Oh! bene avventurata tu sei per avere così evitati gli abbracciamenti d’un cotanto ribaldo; ed io primo teco di ciò mi congratulo.”

“Oh Dio!” gridò l’amabile giovinetta; “con che arti costui mi aggirava! Egli giurommi, il tristo, come cosa verissima che il figliuolo maggiore di questo gentiluomo, sì il capitano Primrose, se n’era ito in America colla sua sposa novella.”

“Menzogne tutte,” disse mia moglie, “sono quelle ch’ei ti narrò. Sappi, o dolcissima fanciulla, che il mio figliuolo Giorgio non uscì mai del Regno, non ebbe mai