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capitolo trentesimoprimo. 203

damigella Arabella Wilmot che doveva la mattina appresso maritarsi al signor Thornhill. Sommo fu lo stupore di quella, quando all’entrare trovò con noi il signor Guglielmo e ’l nipote, essendo ella venuta nella carcere per mero accidente e d’ogni cosa ignara. Passando ella insieme al vecchio padre per mezzo della città, cammino pigliando di verso una sua zia la quale voleva ad ogni patto che le nozze di Arabella con Thornhill si celebrassero in casa sua, aveva in fine della città fatto alto ad un’osteria, e quivi era smontata per rifocillarsi e riposarsi alcun poco. Affacciatasi ad una finestra Arabella, e veduto uno de’ miei bambini far di baie nel mezzo della strada, aveva mandato tosto un donzello a prenderlo. Da alcun pispigliare di lui le era venuto sentore de’ nostri guai, senza però indovinare che ne fosse cagione Thornhill. Quindi, ad onta che le dimostrasse il padre essere a lei disdicevole cosa l’andarsene ad una prigione, determinata ella di venirci a ritrovare, preso per guida il fanciullino, si era avviata difilato vêr noi; e giunse appunto allora quando meno la si aspettava.

Però prima di continuare l’istoria, m’è forza dar qui luogo ad una considerazione sovra codesti incontri casuali de’ quali, quantunque tutto dì se ne veggano, poca maraviglia prendiamo per l’ordinario; trasecolandoci solamente quand’essi avvengono in occorrenze di gran momento per noi e le meno frequenti. Eppure da che fortuito concorso d’accidenti scaturiscono eglino mai tutti i nostri piaceri, tutti gli agi della nostra vita! Quanti di quelli fa mestieri che s’uniscano, prima che noi possiamo essere vestiti o pasciuti! È d’uopo che il contadino sia disposto ai lavori delle terre, che le piogge cadano ad innaffiarle, che il vento gonfi le vele alla nave del mercadante; senza di che moltissimi patirebbero penuria delle cose necessarie alla vita.

Un silenzio universale regnò per alcuni istanti; e la mia vezzosa pupilla, chè tale io chiamava sempre Arabel-