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capitolo trentesimoprimo. 201

veggiando collo stocco: quindi l’altro dopo quattro spadacciate al vento l’avrebbe data a gambe, lasciando intera la vittoria al signor Thornhill, il quale colla bella favola d’esserne il liberatore, si sarebbe ingegnato di amoreggiare colla fanciulla e farsegli grato.

Riconobbe il signor Guglielmo l’abito di Baxter essere del nipote, avendoglielo sovente veduto indosso. E con più circostanziato racconto il prigioniere istesso avverò ogni cosa, fino a dire che il signor Thornhill gli aveva spesse volte con disconce parole fatto palese, lui essere innamorato di tutte e due le sorelle ad un medesimo tratto.

“Ahi qual serpente nodriva io nel mio seno!” esclamò il signor Guglielmo. “E ardiva quel perfido fingersi zelatore della giustizia! Bene sta; avralla quale ei la merta. Presto, o carceriere, le manette a costui.... Ma no t’arresta; perocchè non è forse evidenza questa che basti per lo dovere legare.”

Allora il signor Thornhill, tutta umiltà, pregò che non si ammettesse per valida la testimonianza di due rinnegati mangiaferri; ma che si ponessero ad esame i suoi servi. “Tu non hai più servi,” rispose il signor Guglielmo; “nè tuoi più chiamarli, o sciagurato. S’odano tuttavolta costoro. Voglio ancora di tanto esserti pietoso. Venga il canovaio di lui.”

Chiamato il canovaio; ed entrato quegli alla presenza di noi, s’accorse dall’aspetto turbato del suo padrone che tutto il potere di colui era ito in fumo. “Dimmi,” gridò severamente il signor Guglielmo; “vedestù mai il tuo padrone in compagnia di quel mariuolo vestito de’ panni di lui?” Rispose l’altro che mille volte l’aveva veduto bazzicare con esso lui, ed essere quegli il solito ruffiano che a lui conduceva femmine.

A queste parole lo scudiero sgridollo amaramente come osasse cotanto in faccia sua. “Sì, in faccia vostra,” soggiunse il canovaio, “e in faccia di chicchessia. Per