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capitolo trentesimoprimo. | 199 |
dotta. Io intervenni ad alcune pubbliche feste in compagnia della figliuola di questo gentiluomo. Ad una sì fatta galanteria lo scandalo diede titolo più turpe; e fu detto ch’io avessi violata la fanciulla. Però andai io da suo padre affine di porre in chiaro ogni cosa a intera soddisfazione di lui; ed egli con ingiurie mi accolse ed oltraggi. Perchè egli sia qui, domandatene il mio procuratore e ’l capocastaldo ai quali io abbandono interamente il governo delle faccende domestiche. S’egli ha contratti dei debiti, e non vuole o non può pagarli, sta in mano di quelli il giovarsi dei mezzi che somministra a tale uopo la legge: nè io veggo in ciò crudeltà od ingiustizia.”
“Se il vero tu narri, meriti facilmente perdono. E quantunque avresti potuto mostrarti più generoso nel non sofferire che questo gentiluomo venisse oppresso dalla tirannia de’ tuoi dipendenti, pure può dirsi almeno non ingiusta la tua maniera di procedere.”
“Egli non può negare una sola parola di quanto dissi. E’ faccia pure se gli dà l’animo: ben molti de’ miei servi saranno testimoni della verità. Ecco dunque, o zio,” continuò egli vedendomi stare zitto, perchè in fatto contradire al racconto di lui io non poteva, “ecco giustificata la mia innocenza. Ma quantunque per amor vostro io sia pronto a perdonare a costui ogni offesa; pure l’avere egli tentato di farmi scadere della vostra stima, intanto che il suo figliuolo mi cercava a morte, mi solleva in cuore tal rabbia cui io non so frenare. E tanto mi par nero codesto delitto, ch’io ho fermo nel pensiero di lasciar libero corso alle leggi. Però meco ho la lettera di disfida e due testimoni; e un altro de’ miei servi è a casa ferito a malo modo. E s’anche mio zio istesso, che non credo, tentasse di dissuadermene, voglio pubblica vendetta averne; ed egli in pace lo soffra.”
“Ahi mostro!” esclamò mia moglie; “non se’ tu vendicato abbastanza, senza che il mio povero figliuolo senta tutta la tua crudeltà? Ma spero che il buon signor Gu-