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capitolo ventesimottavo. 181

bero, non so perchè il mio cuore non voglia obbedirmi, non essendo agitato io che da soavissime palpitazioni. Dite loro dunque che ad onta di ogni cosa io le amo teneramente; e siate voi certo ch’io sarò sempre

Il vostro devolissimo figliuolo.»


“In mezzo alle nostre miserie,” esclamai allora, “quanto gradevol cosa non è ella il sapere che uno almeno della famiglia sia esente dalle pene che noi soffriamo! Iddio voglia custodirlo, e mantenere così felice il mio figliuolo, perchè egli possa sovvenire alla sua vedova madre, ed assistere con paterno amore questi due bambini, li quali sono l’unico patrimonio ch’ei dovrà da me ottenere. Difenda egli la loro innocenza dalle istigazioni del bisogno, e siane guida sul sentiero dell’onore.”

Non aveva io ancor finito di dire, quando un frastuono come di tumulto s’udì venire dalla sottoposta prigione. Tacque poco dappoi il trambustio; e uno stridere di catene rimbombò per la volta del lungo corridoio che capitava alla mia camera. Ed ecco il carceriere trarsi dietro un uomo tutto insanguinato, piagato e di gran ferri grave. Ad ogni passo che quel ferito infelice stampava vêr me, mi si destava nell’anima la compassione con più veemenza. Ma ella subitamente si convertì in orrore, ravvisandolo io pel mio figliuolo. “Ahi! Giorgio, figliuol mio, così dunque io ti veggio? Sanguinoso per le ferite e tutto carco di ceppi! E questa adunque è la tua felicità? In così orrida guisa al tuo padre tu ritorni? Oh vista che il cuore mi sbrana! Morire io bramo; non altro prego che di morire.”

“E dov’è, o padre, la vigoria dell’anima tua?” rispose con intrepida voce il figliuolo. “Non v’è più vita per me e me la tolgano pure. Sosterrò con fermo animo la morte; perchè, quantunque fuor d’ogni speranza di perdono, la coscienza non mi rimorde d’alcun omicidio.”

Tentai di frenare per pochi momenti il mio dolore