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valesse a trarmi di qui e collocarmi nel più bello de’ suoi palagi, io nol farei; perchè una voce mi grida che quello sarebbe un prestar consentimento all’adulterio. Finchè vive la mia figliuola, legittime non parranno mai agli occhi miei altre nozze di lui. Ma, morta ch’ella fosse, sarei vilissimo uomo, se volessi tentare, per segreta ira, di disgiungere chi desidera unirsi. Per quanto infame egli sia, bramerei allora ch’ei si sposasse, onde prevenire le future disonestà sue. Ma non sarei io di presente il più crudele dei padri, sottoscrivendo un contratto che strappando me dalla prigione manderebbe in tomba la mia figliuola? E per evitare io un’angoscia, dovrei di mille punte trafiggere il cuore della misera?”

Rimase egli convinto dalle mie parole essere giustissimo il mio rifiuto: poi addolorato mi disse, che la salute della Livia parevagli cotanto distrutta, che ben poco tempo ancora di prigionia mi restava a temere. Indi, proseguendo il suo ragionamento domandommi perch’io, senza chiedere alcuna scusa al nipote, non ricorressi allo zio di lui, a quel sì lodato onest’uomo che per tutta Inghilterra aveva voce di giusto. Suggerimmi d’indirizzare al signor Guglielmo una lettera che lo mettesse a parte di tutti i mali trattamenti usati vêr noi dal nipote, sicuro che in tre giorni n’avrei ottenuta una savia risposta. Però lo ringraziai del buon consiglio; e determinato io di mandarlo tosto ad effetto, non avendo nè carta nè danaro mio per comperarla, egli cortesemente mi provvide d’ogni cosa.

Però, tutti que’ tre giorni l’ansietà di sapere come sarebbe stato accolto il mio scritto, mi travagliava con acerbo batticuore. E a quello si aggiungevano l’importunità con cui mi sollecitava mia moglie a sottopormi ad ogni patto ai voleri di Thornhill piuttosto che rimanere incarcerato, e le tristissime novelle che mi si recavano ogni momento della inferma mia figliuola. Venne il terzo dì, venne il quarto; ma niuna risposta alla mia lettera. I lamenti d’uno sconosciuto uomo contro di un nipote prediletto