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mano esperta d’un affinatore. Vedrebbesi che tanti meschini, spinti a lunghi supplicii dall’altrui fasto orgoglioso il quale d’ogni menoma offesa si sdegna, potrebbero, se convenientemente trattati, in difficili tempi servire di propugnacolo allo Stato. Vedrebbesi come i volti così anche i cuori loro somigliare ai nostri; e non v’essere sì trista mente cui ad emendare non valga la perseveranza. E vedrebbesi da ultimo che l’uomo può metter fine ai delitti senza bisogno della mannaia; e che ad assodare la nostra sicurezza poco sangue fa d’uopo.

CAPITOLO VENTESIMOTTAVO.


Le felicità e le miserie umane sono piuttosto frutto dell’accortezza che della virtù, dacchè le gioie e le amarezze di questo mondo agli occhi d’Iddio sien cose da nulla, e indegne della sua sollecitudine nella loro distribuzione.

Erano oramai trascorsi quindici giorni di prigionia, nè in tutto quel tempo io aveva mai veduta la mia cara Olivia, ad onta ch’io ne sentissi ardentissima brama. Però manifestato quel mio desiderio alla moglie, il dì vegnente di buon mattino entrò nella mia camera la povera fanciulla appoggiata alle braccia della sorella: e sembrava sì fattamente mutato da quel di prima l’aspetto di lei, ch’io ne fui atterrito. Erano fuggite le grazie innumerevoli che un tempo sedevano sulla persona sua; e la mano di morte pareva che avesse sfigurato quel volto a bella posta per istraziarmi l’anima. Affossati erano gli occhi, tesa la fronte, e d’un mesto squallore ricoperte le guance.

“Oh quanta gioia ho del vederti, o mia Olivia!” diss’io. “Ma perchè sei tu tanta sbattuta? Viscere mie, se m’ami, perchè ti lasci tu dal cordoglio vincere, e consumi sì miseramente una vita a me cara come la mia pro-