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capitolo ventesimosettimo. 171

erano in guerra, in pace poche morti tolleravano. E in tutti i governi nascenti ne’ quali è impresso ancora profondamente il marchio dello stato naturale da cui sortono, quasi nessun delitto è reputato capitale.

Ma solo nel mezzo de’ cittadini di una società soverchiamente incivilita, le leggi penali, poste in mano del ricco, gravitano sul poverello. Come gli uomini così i governi invecchiando, bisbetici diventano e rabbiosi. E quasi come se le ricchezze coll’accrescersi più stimabili e care si rendessero, e i maggiori tesori più timori partorissero; ogni giorno con nuove leggi vengono da noi protette le cose nostre, e muniti, per così dire, i nostri averi d’una palificata di forche onde atterrirne ogni assalitore.

Io non so dire se più pel troppo numero delle leggi penali, o per la licenza popolare accada che nella mia patria veggansi ogni anno più rei di quel che non ne abbia mezza l’Europa tutta unita: e forse è da ascriversi ad entrambe del pari quelle cagioni, perchè madri entrambe di delitti. Allorchè una nazione punisce con uguali pene alla rinfusa differenti gradi di colpe, il popolo non iscorgendo distinzione ne’ gastighi, non distingue neppure i misfatti: e nulladimeno codesta distinzione è l’antemurale della pubblica moralità. Di qui la moltitudine delle leggi produce nuovi vizi; e i nuovi vizi sempre la necessità di nuove leggi.

Però ottimo provvedimento sarebbe se i magistrati, anzi che inventar nuove pene pel vizio, anzi che ristringere i legami della società con tal veemenza fino a rischio di produrre una convulsione che poi schiantili del tutto, anzi che spingere a morte i rei come inutili enti prima di provarne l’utilità, anzi che rivolgere a vendetta la correzione; tentassero, dico, i magistrati di prevenire con sagaci arti i delitti; e fosse protettrice la legge, non tiranna del popolo. Vedrebbesi allora che all’anima di tali creature, spregiata come vilissima scoria, non mancava che la