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168 | il vicario di wakefield. |
mia opera sarebbe tornata in detrimento soltanto del mio ministerio.
“Non è vero,” risposi, “ciò che voi dite. Codeste misere genti, sebbene cadute, sono uomini tuttavia: e basta perch’io rivolga loro il mio amore. I buoni consigli ributtati ritornano ad abbellire il cuore di chi li diede; e se le ammonizioni da me compartite non emenderanno coloro, io ne trarrò fuor d’ogni dubbio l’emenda di me medesimo. Se codesti infelici fossero in alta fortuna, mille persone accorrerebbero ad esibersi al servigio loro. Ma io reputo tanto preziosa l’anima di chi è seppellito in orrenda carcere, quanto quella di lui che siede in trono. Però voglio correggerli, se posso, e forse di essi non tutti mi faranno beffe; forse uno ne strapperò dall’abisso, e ciò sarà gran guadagno; perchè non v’ha gemma al mondo che pareggi l’anima di un uomo.”
Dopo queste parole abbandonando i miei figliuoli, scesi nella prigione comune ove i compagni in grande allegria aspettavanmi, ognuno meditando di corbellarmi a sua posta, e prendersi giuoco del buon dottore. Quindi sul bel principio l’uno torsemi a sghimbescio la parrucca; e fingendo d’averlo fatto inavvertitamente, me ne chiese perdono: l’altro in lontananza sapeva si destramente per mezzo i denti sputare cotali farfalloni che piovendo sul mio libro tutto inondavanlo; il terzo si pose a cantare amen con sì soverchia santità, che tutti scompisciaronsi dalle risa ed era al quarto riuscito di ghermirmi bellamente fuor delle tasche gli occhiali. Ma la burla d’un altro ebbe accoglimento più universale ed urli di gioia; perchè colui, veduto come io aveva disposti i miei libri sul tavoliere innanzi a me, pian piano ne tolse via uno, ed in luogo di quello vi sostituì un suo libro zeppo d’oscenità. Io non pertanto feci sembiante di non accorgermi de’ malvagi scherzi di que’ miserabili; ma proseguii tranquillamente; tenendo per fermo, che per una o due volte al più avrebbero fatte eglino le risa grasse; ma svanite quelle, la