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capitolo ventesimosesto. 165

il ventre; e se male io non m’appongo, nulla di bene avrete mai da lui da qui innanzi. Nelle umane contrattazioni chiunque riceve ingiuria da alcuno, dall’ingiuriatore si rimuove e ad altr’uomo migliore ricorre. E a voi pure converrebbe pigliar prova di un nuovo Protettore che a sè vi chiama con belle promesse. Nè v’ha certo più stupido uomo del ladro che cerca asilo presso il bargello. E voi al par di lui insensati domandate conforto a chi già v’ingannò, ad un ente del bargello più maligno perchè il birro vi tira a sè con allettamenti, poi vi manda alle forche; ma l’altro vi zimbella, vi strozza, nè vi sprigiona neppure dopo il capestro; e ciò è il danno peggiore.”

Al finire di queste parole, gli uditori mi onorarono per complimenti; ed alcuni di essi stringendomi la mano, giurarono essere io buon compagno, la di cui amicizia bramavano di continuare. Però, detto loro che domani avrei fatto altrettanto, una speranza io accoglieva di riformare i costumi: perocchè fu sempre mio avviso non essere mai disperata l’emenda in qualsivoglia cuore, purchè colui che ha in animo d’emendarlo indirizzi accortamente le sue rampogne e ben colga. Contentata così l’anima mia, ritornai alla camera dove mia moglie aveva preparato un desinare sobrio, a cui chiese Jenkinson di unire anche il suo, onde, com’ei diceva, godere della mia conversazione. Egli non aveva mai veduta la mia famiglia; perchè venendo ella a me introdotta per una porta segreta del corridoio già descritto, non era a lei uopo passar per mezzo alla prigione comune. Maravigliò quindi altamente della bellezza della mia figliuola minore a cui una cert’aria pensierosa aggiungeva grazia, ed accarezzò cordialmente i miei due bambini.

“Ahi! dottor mio,” diss’egli, “non è luogo questo che si convenga a così belli figliuoli.”

“Grazie a Dio,” risposi, “ch’eglino siano d’onesti costumi; poco importa del resto.”