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dissipò per allora dalla mente il sentimento delle avversità mie proprie: e parvemi obbligo di tentare ogni via per ridurli sul buon sentiero. Però feci pensiero di scendere di bel nuovo, e ad onta degli scherni di quelle genti compartir loro le mie ammonizioni, e perseverare fino a tanto che io venissi a compimento del mio proposito. Tornato quindi in mezzo di loro, rendei consapevole del mio disegno il signor Jenkinson, che in udirlo scoppiò dalle risa; ma lo partecipò non pertanto agli altri prigionieri. Fu allora accolta con festa la proposta, essendo che ella prometteva somministrare novella materia di spasso a gente, cui era venuta meno oramai ogni fonte di gioia fuorichè la dissolutezza e la buffoneria.

Lessi loro con voce alta, ma non affettata, parte del divino officio; e l’udienza ne ebbe trastullo. Era a vedersi un bisbigliare universale, un gestire impudico, gemiti di pentimento burlescamente spremuti, un tossire, un occhieggiare, un ridere per ogni parte. Proseguiva io nondimeno gravemente la lettura, come quegli che sapeva benissimo potere quell’atto emendare alcuno, ma non dal ludibrio di nessuno uomo ricevere detrimento e contaminazione.

Finito ch’ebbi, di leggere, cominciai una predica più per tenerli a bada ed allegri che non per biasimarli. Dissi che niun’altra cagione m’induceva a parlare, ma solo il desiderio della loro prosperità, che non guadagno io traeva dalle mie prediche, e che non mi dovessero guardare che come compagno di prigionia; ma dolermi l’empietà loro per cui niuno utile e sommo danno era da conseguirsi. “E per verità,” esclamai, “o amici miei, chè amico io vi sono davvero, quantunque a voi volga il mondo le spalle, nè un soldo vi verrà nel borsello, se anco mille volte al dì voi deste in orrende imprecazioni. A che dunque invocare ogni tratto Satanasso e i favori di lui, s’ei vi malmena così miseramente? Egli non v’empie che di giuramenti la bocca, e vuoto vi lascia