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capitolo ventesimoquinto. 161

sti pure ricordare d’un dottor Primrose da cui comperasti un cavallo?”

Allora d’improvviso egli mi raffigurò; chè l’oscurità del luogo e la cadente notte gli avevano tolto di potere riconoscere prima i lineamenti del mio volto.

“Pur troppo sì mi sovviene!” esclamò colui. “Comperai da te un cavallo, e mi sdimenticai di pagarlo. L’unico de’ miei accusatori ch’io tema è il tuo vicino Flamborough, perchè egli ha in animo di darmi con giuramento colpa di falsator di monete innanzi ai giudici che terranno per me corte fra pochi dì. Mi sa male d’averti ingannato, e d’avere come te ingannati mill’altri; ed ecco qual frutto ho colto delle mie furfanterie.” Additommi i suoi ceppi.

“Or bene,” risposi, “la cortesia con cui mi offeristi soccorso in tempo da non isperarne da me guiderdone, sarà ricompensata dalle mie cure per mitigare od estinguer del tutto l’accusa di Flamborough. Manderò quanto prima a tale uopo il mio figliuolo; e son certo che quel buon uomo condiscenderà alle mie preghiere. Per conto mio poi non ti dar pena, chè non darotti taccia di nulla.”

“Io ti sarò grato con tutte le forze mie; dividerò teco questa notte le mie coperte da letto, e n’avrai più della metà; ti sarò amico qui in carcere dove e’ mi sembra di poter qualche cosa.”

Gliene resi le dovute grazie, maravigliando altamente del ringiovanito aspetto di lui; perchè la prima volta ch’io l’aveva salutato m’era paruto uomo di sessant’anni almeno. “Eh! male,” diss’egli, “tu conosci il mondo. Erano allora finte le mie chiome; ed io so contraffare ogni età dai diciassette ai settanta. Ah! se delle sollecitudini da me impiegate per diventare consumato briccone io avessi spesa la metà in ammaestrarmi in alcun genere di commercio, sarei a quest’ora ricchissimo. Ma comecchè io sia un vile mascalzone, quando men te l’aspetti, posso ancora esserti utile amico.”