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144 | il vicario di wakefield. |
ratori riposavano dalle fatiche del giorno; in ogni capanna erano estinti i lumi; non si udiva suono alcuno, che il lontano canto del gallo e l’abbaiare de’ cani. Io mi accostai alla mia cara casetta; e prima ch’io vi giugnessi, per più di cento passi ini corse incontro il mio buon mastino a lambirmi ed accarezzarmi.
Era quasi mezzanotte quand’io bussai alla mia porta; in silenzio e tranquillità ogni cosa; e il mio cuore si dilatava per lo piacere inesprimibile: quando con sommo terrore vidi la casa andare a fuoco e fiamma, ed uscire da ogni finestra la vampa. Diedi allora in un grido convulsivo, e stramazzai tramortito. Spaventato mio figliuolo da quel grido, si scosse dal sonno, e vedute le fiamme, destò immantinente la madre e la sorella: e tutti accorsero ignudi, impauriti e sparuti a richiamarmi coi loro singhiozzi in vita. Ma fu un suscitarmi a nuova paura; perchè, le fiamme salite al tetto, quello a pezzi a pezzi rovinava; intanto che la famiglia muta, agonizzante guardava quel chiarore, e stupida pareva ammirarlo. Volsi gli occhi all’incendio, poi a’ miei, poi novamente all’incendio; quindi cercai disiosamente a me intorno i due piccini, e non li rinvenni. “Ahi me misero! dove sono eglino i miei bambini?” — “Sono abbruciati là dentro, rispose placidamente mia moglie, ed io morrò con essi loro io pure.”
In quell’istante udii le grida de’ meschinelli ch’erano allora allora risvegliati dalla fiamma; e precipitoso mi scagliai per mezzo all’incendio gridando, “dove siete, poveretti, dove siete?” ed atterrando l’uscio della loro camera. “Siamo qui, caro padre, siam qui,” esclamavano; e la fiamma si appiccava già al loro letto. Gli afferrai entrambi; e presili in braccio, a tutta corsa ne li trassi fuori: e uscito appena, la soffitta con gran rovinio diroccò. Vedutili salvi, gridai che la fiamma struggesse pur tutto, poichè i miei tesori erano illesi, chè tali io reputava i miei figliuoli; e di mille baci coprimmo quelle