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142 | il vicario di wakefield. |
mano una borsa quel tracotato; ma accesa io d’indignazione gliela gittai a’ piedi; e divorata dalla rabbia uscii dalla casa di lui sì fattamente fuor di me stessa, che per alcun tempo rimasi insensibile alla miseria di mia condizione. Tornata poscia in me, vidi quanto io fossi abbietta cosa, vilissima e rea di colpe enormi, senza un amico al mondo a cui rifuggire.
In quel mezzo appunto una vettura passò a caso per via; ed io v’entrai non per altra ragione che per allontanarmi quanto più potessi da quello scellerato ch’io disprezzando abborriva: e dopo alquanto cammino discesi a questo albergo, dove la mia angoscia e le scortesie dell’ostessa furono per tutto il tempo che qui soggiornai le sole compagne mie. La rimembranza delle ore piacevoli passate insieme alla cara madre e alle sorelle mi attrista e raddoppia le mie pene. È grande il loro cordoglio, io ’l credo; ma immenso è il mio, chè la conoscenza del mio delitto alla infamia congiunta mi squarcia l’anima orrendamente.”
“Abbi pazienza, figliuola mia; abbila, confòrtati e sta’ a buona speranza. Datti per questa notte riposo; e domani ti ricondurrò alla tua madre ed al restante della famiglia da cui tu sarai accolta benignamente. Povera donna! questa sciagura le ha passato il cuore: ma ella ti ama di amore materno ancora, e ti perdonerà.”
CAPITOLO VENTESIMOSECONDO.
Si perdonano facilmente le offese, quando c’è di mezzo l’amore.
Il giorno appresso fatta salire dietro a me in groppa la Olivia, mi posi in viaggio per ritornarmene a casa. Lungo il cammino ogni sforzo adoperai per calmare il crepacuore i timori della meschina, persuadendola ad