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capitolo ventesimo. 133

compagnia di commedianti che doveva andare l’estate vagando di terra in terra per questa provincia. A costoro parve di non dovermi ripudiare dal numero loro; ma vollero primieramente avvertirmi di quanto scabrosa fosse l’impresa, essendo il pubblico un mostro di cento teste, a cui voler piacere era d’uopo averne io una buona. Mi fecero veduta ogni difficoltà, e come l’imparare l’arte non era lavoro d’un giorno, e com’io non avrei incontrato mai il gradimento degli spettatori senza alcuni contorcimenti e uno strigner di spalle disceso per tradizione sul teatro, e conservatovi da soli cento anni in qua. Un altro guaio insorse sulla scelta delle parti che mi si convenissero, perchè già distribuite tutte tra di loro; e ne fui trascinato di dì in dì, datomi oggi un carattere e tolto domani; finchè poi si fu ad una conchiuso ch’io dovessi fare da Orazio: ma la presenza vostra per buona fortuna mise impedimento alla mia scenica impresa.”

CAPITOLO VENTESIMOPRIMO.

Breve durata dell’amicizia tra viziosi, che vive sol quanto lo scambievole piacere che se ne coglie.

La narrazione de’ casi del figliuolo era troppo lunga perchè si potesse farla in una sola volta senza interrompimento; laonde le si diede principio quella sera, e compimento il dopo pranzo del giorno che seguì poi: ma la soddisfazione universale che da quella ritraevasi fu sospesa per la venuta del signor Thornhill. Appena comparsa alla porta la vettura, il canovaio, che aveva oramai stretta meco amicizia, corse a susurrarmi all’orecchio essere lo scudiero in alcun trattato di matrimonio con madamigella Wilmot, ed approvare altamente lo zio e la zia della fanciulla que’sponsali. Entrato dentro il signor Thornhill,