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capitolo ventesimo. 131

cava le spalle, girava l’occhio seriamente, poi tornava agli altri, e diceva loro non potere egli di affari di tanto momento pronunziar giudicio su due piedi. Alcuna volta la impudenza di lui saliva più alto; perchè mi sovviene d’averlo veduto un giorno, poi ch’ebbe spacciato il parer suo e detto che il colorito d’una tal quale pittura non era abbastanza morbido, dar di piglio con deliberato animo ad un pennello intinto in vernice bruna che giaceva lì a caso, in faccia a tutti strofinarlo sul quadro placidamente, e domandar poscia s’ei non ne avesse migliorate le tinte.

Terminata la sua incumbenza in Parigi, prima di partire egli mi accomandò caldamente a diverse cospicue persone, proponendo me come uomo atto a tener cura di nobili giovinetti ne’ loro viaggi. Nè guari andò, in fatti, ch’io fui condotto a soldo da un gentiluomo inglese, il quale aveva tratto a Parigi il suo pupillo, affine di mandarlo per di là a viaggiare l’Europa. Fu stabilito ch’io ne dovessi essere l’aio, con patto però che al giovane fosse lecito di governarsi sempre a capriccio suo; e ’l mio pupillo per verità sapeva meglio di me maneggiare il borsello. Egli era erede di un dugentomila lire, lasciategli da un suo zio morto nelle Indie occidentali; e i tutori di lui, perch’ei si facesse saputo nella economia domestica, lo avevano collocato presso di un avvocato, cosicchè per sì bella ed onesta pratica l’avarizia era divenuta la passione che dominavalo. I discorsi per lui tenuti in camminando si volgevano tutti sul modo di sparagnare danari, quale fosse metodo di viaggio meno costoso, se vi avesse cosa da comperare dalla quale si traesse alcun utile rivendendola in Londra, e così via. Di tutti gli oggetti che nel nostro viaggio potevansi vedere senza spesa, egli era prontissimo ammiratore; ma se il vedere costava quattrini, d’ordinario egli mi accertava essergli stato detto non avervi cosa alcuna degna di sguardo. Colui non pagava mai conto senza prima esclamare quanto dispen-