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130 | il vicario di wakefield. |
una delle strade più frequentate, mi venne fatto d’abbattermi al nostro cugino a cui tu mi avevi, o padre, accomandato. Questo incontro così impensato fummi caro oltre ogni dire, e credo che nè a lui dispiacesse. Domandommi del come e del perchè io fossi in Parigi, e mi diè contezza appieno de’ fatti suoi, narrandomi essere egli venuto per raccogliere dipinture, medaglie, intagli ed antichità di ogni maniera, per un gentiluomo di Londra che, acquistata gran fortuna, s’era improvvisamente creato antiquario e dilettantissimo di tali ciarpe. Maravigliai davvero in vedere raccomandato un così fatto ufficio al nostro cugino, dalla cui bocca aveva io spesse volte udito com’egli fosse di quelle materie ignorantissimo; e domandatolo del modo con cui erasi egli addottrinato cotanto in sì breve tempo, rispose niuna cosa essere di ciò più facile. Tutto il segreto stava nel tenersi fermo a due regole, l’una di sempre dire che il quadro sarebbe stato migliore se il pittore vi avesse speso più cure; l’altra di lodar sempre le opere di Pietro Perugino. E come già un tempo egli mi aveva insegnato in Londra a diventare autore, si offerse di bel nuovo maestro a me dell’arte del comperar pitture in Parigi.
Accolsi di buon grado la profferta perchè ella era un mezzo di vita, nè altra ambizione io sentiva nell’anima che di campare; e andatomene a casa sua, mercè li sovvenimenti di lui mi raffazzonai il meglio che seppi, e dopo alcuni giorni gli tenni dietro ai mercati, ove avidamente aspettavansi de’ ricchi Inglesi che venissero a comperare pitture. A me non poco parea strano il vederlo amico di gente di alto affare che gli chiedeano riverentemente parere sovra ogni dipinto ed ogni medaglia, ricorrendo a lui come a norma infallibile di buon gusto. Egli sapeva cavare ottimo partito dalla mia assistenza in questi incontri; conciossiachè interrogato da altri qual fosse la sua opinione intorno ad alcuna cosa, tirava me con gravità da un canto, domandava com’io la sentissi, inar-