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128 | il vicario di wakefield. |
razione, non so dire; ed è per me gran maraviglia: ma pure certissima cosa ell’è ch’io non vi badai nè un istante.
Fallito questo mio disegno, e parendomi matta impresa aver fatta, ebbi talento di ritornarmene bellamente in Inghilterra; ma venutomi tra’ piedi uno studente irlandese giunto di fresco da Lovanio, ed entrato io in parole con esso lui, ragionai di cose letterarie lungamente; perchè ogni volta che io trovassi gente con cui discorrere di letteratura, il sentimento delle mie miserie svaniva. Seppi da lui che in tutta l’Università non vi erano due persone che intendessero il greco; e ciò ripensando trasecolai. Però, proponendo io di far viaggio verso Lovanio, ed ivi aprir scuola di lingua greca, fui dal mio compagno studente inanimito ad andarvi tosto, come certo di farvi fortuna.
Spuntata l’alba dell’altro dì, presi il mio cammino pieno di care speranze; e proseguendo il viaggio, sentiva di giorno in giorno alleviarsi il peso del mio fardello a guisa del canestro di pane del buon Esopo, perchè con quello io pagava ogni scotto agli albergatori olandesi. Come prima entrai in Lovanio, non volli per niun conto farla da palpatore coi professori infimi, ma presentarmi a dirittura al principale, ed esibir a lui di giovargli col mio intelletto. Imperò m’ingegnai d’ottenerne l’accesso; ed a quel sere parlai di me come d’uomo capace d’insegnare la lingua greca, della quale m’era stato detto essere penuria in quella università. Il rettore parve a prima giunta dubbiare del mio sapere; ma offerendomi io pronto a tradurre in latino uno squarcio di qualsivoglia autore greco ch’egli avesse stimato di scegliere, vide ch’io parlava da senno, e così mi rispose: — Tu guardi, o giovinetto, in me un uomo che non istudiò mai il greco, nè mai si accorse d’averne bisogno. Senza saper di greco fui addottorato e vestii toga e berretta; senza saper di greco ho diecimila fiorini l’anno, e me li mangio a cre-