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capitolo ventesimo. 127


In uscire con questo pensiero da casa Crispe, incontrai sulla porta un capitano di nave già da me conosciuto qualche poco, il quale accettò di voglia l’invito di bever meco una scodella di punch. Non usando io mai far misterio de’ fatti miei, entrai seco lui in discorso sulla promessa fattami dal signor Crispe; per lo che egli s’ingegnò di rivolgermi dal mio pericoloso proponimento, con parole molte affermando non avere altro in animo il signor Crispe che di vendermi alle colonie, e mandarmi così in precipizio. — A me pare, continuò egli, che tu potresti con più corto viaggio guadagnarti miglior vitto. Bada a me, figliuol mio; domani la mia nave fa vela per Amsterdam, e tu potresti salirvi qual passeggiero. Giunto a terra tu ti fai maestro di lingua inglese agli Olandesi; e ti so dire io che scolari e quattrini non ti mancheranno. Poffare il diavolo! tu sai d’inglese assai bene, non è egli vero? — Risposi con confidenza che sì; ma gli manifestai non essere io poi sicuro che gli Olandesi avrebbono voluto imparare la lingua inglese. Egli giurò che ogni Olandese n’era appassionato di tal modo che ne andava propio matto e udito io un tal giuramento, mi piegai alla sua profferta; e il giorno che seguì poi mi posi in naviglio, per andarmene maestro d’inglese in Olanda. Il vento fu propizio, breve il viaggio; e dopo pagato il nolo con mezza la mia valigia, chè contanti io non aveva, mi ritrovai straniero uomo e stupido tutto in una delle principali strade di Amsterdam. Mi parve allora di non dover rimanere colle mani in mano come uno scioperone; e rivoltomi a due o tre persone che passavano per via, e li volti di cui promettevano buona accoglienza, offerii loro l’opera mia; ina non ci fu verso ch’e’ mi capissero, nè ch’io una parola intendessi di loro risposte. Per la prima volta quindi mi avvidi che per potere io insegnare l’inglese agli Olandesi, era d’uopo ch’essi instruissero primariamente me nella lingua loro. Come io trascurassi di porre mente gran pezza innanzi a una sì ovvia conside-