126 |
il vicario di wakefield. |
|
risoluzione, passai accanto alla casa ove tenea il suo ufficio il signor Crispe; e fatto pensiero di trovarvi buona accoglienza, v’entrai. Ivi il signor Crispe offerisce cortesemente a tutti i sudditi di S. M. una generosa impromessa di trenta lire per anno, in contraccambio delle quali eglino non danno che una minuzia, la loro libertà cioè, e la licenza di poterli trasportare come schiavi in America. Stimai ventura l’avere rinvenuto un luogo che disperandomi del tutto, avrebbe soffocati i miei timori: e con monastica divozione posi piede in quella che a me parea cella da frate. Quivi incontrai una moltitudine di tapini che tutti com’io prediletti dalla fame, aspettavano che giungesse il signor Crispe, dimostrando in compendio col loro contegno, di qual natura sia l’impazienza inglese; perchè quelle anime sdegnose, adirate colla fortuna, stracciavano sè medesime a brani a brani, eruttando contumelie contro le ingiustizie di lei: ma l’arrivo del signor Crispe pose termine una volta al bestemmiare. Egli si degnò di guardar me con un’aria di particolare condiscendenza; e fu egli il primo che da un mese in qua mi parlasse col sorriso a fior di labbro. Dopo diverse interrogazioni mi ravvisò uomo atto ad ogni maniera di mestiere; e recatosi sopra sè, e stato alcun tempo pensando taciturno qual più mi si confarebbe, percosse finalmente la fronte in segno d’aver ben colto, e mi disse che discorrendosi allora d’una tal quale ambasceria del Sinodo di Pensilvania agl’Indiani Chickasaw, avrebbe tentato di farmi eleggere segretario di quella. Sapeva io benissimo in mio cuore che il briccone mentiva; ma la promessa di lui tuttavia mi solleticò gli orecchi per quell’ampollosa parola segretario; e senza farmi increscere divisi tosto la mia mezza ghinea in due parti, l’una delle quali andò a congiungersi alle trenta mila lire che formavano il patrimonio del signor Crispe, e coll’altra determinai di entrare nella vicina taverna, e mercarmi felicità maggiore della sua, crapulando.