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capitolo ventesimo. | 117 |
tunque ella mi affliggesse sommamente, non mi mise in fondo del tutto. Nessuno al par di me fu mai sì facile a pascersi di speranze; e quanto più la fortuna parea balestrarmi, tanto più la sperava propizia in avvenire; ed essendo io ormai nell’infimo della sua ruota, ogni cambiamento poteva bensì sollevarmi, ma non deprimermi.
Un giorno sereno, di buon mattino, m’avviai dunque verso Londra, senza darmi pensiero del domani, ma allegro come gli uccelli che cantavano lungo la strada; e confortava me dell’idea che Londra fosse un luogo ove ogni sorta di abilità venisse apprezzata e ricompensata.
Appena giunto alla città ebbi cura di presentare la lettera di raccomandazione datami da mio padre pel nostro cugino, il quale però non era gran fatto in più largo stato di me. Immaginai da principio di farmi eleggere ripetitore in una accademia, e su di ciò domandai al cugino il parer suo. Egli accolse questo mio disegno con un riso sardonico, dicendo: — Oh sì davvero! ecco una via di vita propio a te confacevole. Fui anch’io un tempo ripetitore in un piccolo collegio, e mi si regali un capestro alla strozza se non sarebbe stato pel meglio il farmi vice-guardiano delle prigioni di Newgate. All’alba m’era forza spiccarmi di letto, e starmene in piedi fino a notte inoltrata: il rettore mi faceva il viso brusco; la sua moglie mi odiava perchè la mia brutta faccia non andavale a genio; in casa i fanciulli mi laceravano l’anima rabbiosa, e non m’era permesso d’uscir fuori a godere un pocolino di buona creanza. Ma sei tu certo d’essere adatto per un collegio? Lascia ch’io per alcun momento ti ponga ad esame. Sei tu pratico di quel mestiere? — No. — Dunque tu non se’ buono per un collegio. Sai tu pettinare i ragazzi? — No. — Dunque non se’ buono per un collegio. Hai avuto il vaiuolo? — No. — Dunque non sei buono per un collegio. Saprestù dormire con due altre persone in un sol letto? — No. — Dunque non sarai adattato mai per un collegio. Hai buon appetito?