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116 | il vicario di wakefield. |
quasi si compiacesse del sapersi bella e che nessuno le potesse resistere; e spesse volte interrogava gli altri senza badare nè punto nè poco alle risposte che gliene davano.
CAPITOLO VENTESIMO.
Storia di un filosofo errante che, in traccia di novità, perde ogni contentezza.
Come fu la cena finita, madama Arnold offerse di mandare un paio di servi a prendere le bagaglie di mio figliuolo, che egli la ringraziò, da prima dicendo non importare: ma siccome ella insisteva, gli fu d’uopo narrarle non avere egli altra masserizia al mondo che un bastone ed una bisaccia. “O figliuolo mio,” esclamai, “povero tu mi lasciasti, e povero a me ritorni; eppure son certo che tu hai viaggiati dimolti paesi.” — “Sì, o padre: ma col correr dietro alla fortuna non la si grancisce; e io ho cessato in fatti già da qualche tempo di andare in cerca di lei.” — “M’è avviso,” disse madama Arnold al mio figliuolo, che la storia delle tue vicende sarà piacevole: spesse volte n’ho udita la prima parte dalla mia nipote; ma se tu ce ne raccontassi il rimanente, certo che la brigata tutta te ne saprebbe buon grado.
“Signora,” rispose il mio figliuolo, “il diletto che voi trarrete dall’udire i miei casi, siate certa che non giungerà ad uguagliare neppure a mezzo la vanità ch’io proverò nel ripeterli; ciò non pertanto io non vi prometto di raccontare alcuna mia avventura, perchè avventure non ho da dire; nè posso intrattenervi che colla narrazione di ciò ch’io vidi, non di ciò ch’io feci1. La prima sventura della mia vita, come voi tutti sapete, fu grande; ma quan-
- ↑ È parere di alcuni che sotto il nome del povero Giorgio si ascondano le miserie durate in gioventù da Oliviero Goldsmith stesso.