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capitolo decimonono. 115

v’andai erano fuor d’ogni dubbio le più ragguardevoli di quella terra; quindi fummo accolti con somma riverenza e locati nel posto più onorevole rimpetto alla scena, ove sedemmo per alcuna pezza impazienti che uscisse fuori l’Orazio, per vedere s’egli fosse poi tanto portento. Alla per fino il nuovo attore si avanzò; e chi è padre immagini qual fosse lo stato dell’anima mia, allorchè riconobbi lui essere l’infelice mio figliuolo. Egli stava per incominciare; ma girando lo sguardo sugli spettatori, e scontratosi con me e con madamigella Wilmot, rimase immobile e mutolo. Gli attori dietro la scena attribuendo alla naturale timidità di lui quella pausa, tentavano di mettergli animo; ma egli anzi che proseguire, scoppiandogli dal seno i sospiri, sgorgò un fiume di pianto e via si trasse. Io non so quali si fossero allora le mie sensazioni, e tanto rapidamente succedettero le une alle altre che non v’ha penna che le possa descrivere; ma fui ben presto scosso da quel tormentoso vaneggiamento da madamigella Wilmot, che pallida e con voce tremante mi pregava di ricondurla a suo zio. Tornati a casa, il signor Arnold, al quale pareva strano il nostro turbamento non ne sapendo il perchè, informato poscia essere figliuolo mio quel nuovo attore, mandò una carrozza a lui invitandolo a casa sua. Persisteva Giorgio nel non volere più salire in iscena, onde posero in suo luogo i commedianti un’altra persona; e poco dopo egli venne in mezzo di noi. Allora il signor Arnold gli fece le più gentili accoglienze; ed io, incapace sempre di affettare sdegno quando non me lo sentiva bollire davvero in cuore, me gli gittai con gran trasporto al collo. La maniera colla quale incontrollo madamigella Wilmot pareva alquanto trascurata; ma ben n’avvidi io ch’ella era tale a bello studio. Il tumulto della mente di lei non era per ancora calmato; ed or le usciano di bocca mille confuse parole che sembravan di gioia, ora ella rideva ella stessa della propria scempiezza: poi di soppiatto si guardava nello specchio