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114 | il vicario di wakefield. |
“Ahi! sono già tre anni ch’egli è lontano, e non ha mai scritto lettere nè agli amici nè a me. Dov’egli sia nol so; e forse non vedrò più il volto di lui nè quello della felicità. No, cara fanciulla mia, quelle ore beate che si passavano accanto al nostro focolare a Wakefield non torneranno più mai. La mia famigliuola comincia a disperdersi; e la povertà non ci ha colti solamente, ma ben ancora l’infamia.”
A queste parole la pietosa vergine lasciò cadere una lagrima; ed accortomi io della troppa sensibilità di lei, troncai ogni più minuto racconto delle nostre sciagure. Fu nondimanco argomento per me di consolazione il sentire che il tempo non aveva in conto veruno cambiata quell’anima, e com’ella aveva ricusati molti sponsali che le si erano proposti dopo la nostra partenza da que’ luoghi. Ella mi condusse qua e là additandomi i diversi cambiamenti accaduti nelle campagne, le nuove piantagioni, i viottoli variati, traendo d’ogni oggetto occasione di parlar meco del mio figliuolo. Così spendemmo il mattino; finchè la campanella ci chiamò al pranzo, ove rinvenimmo il direttore della compagnia comica già da me menzionata, venuto ad offerire biglietti per la Bella Penitente che doveva comparire in iscena quella sera, e in cui la parte di Orazio sarebbe stata recitata da un giovinetto che non era per ancora salito mai in sul palco. Egli parve lodare quel novello attore con molta svisceratezza, affermando di non aver mai veduto giovane di sì belle speranze; perchè quantunque non fosse lavoro d’un giorno l’imparare il mestiere, e’ si poteva proprio dire essere colui nato pel teatro, tanto commendevoli erano i suoi gesti, la sua voce, il suo aspetto; e soggiunse d’averlo trovato a caso cammin facendo di verso quel villaggio. Tutte queste cose eccitarono la nostra curiosità; e tanto dissero e tanto fecero le gentildonne, che m’indussero ad accompagnarle al teatro, il quale, in fatti poi, altro non era che un granaio. Le persone colle quali io