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112 | il vicario di wakefield. |
quale intervennero due o tre dame in vesti di casa sì, ma non per questo neglette; e con assai brio si diede principio alla conversazione.
La politica era sempre l’argomento in cui più d’ogni altro si diffondeva il nostro ospite, asserendo egli essere la libertà a un tempo stesso la gloria di lui e il terror suo.
Rimosse le tovaglie, mi inchiese s’io avessi letto l’ultimo Monitore; al che risposi del no. “Vergogna! almeno l’Auditore l’avrai veduto.” — “Neppure.” — “Capperi! Ella è strana stranissima cosa. Io leggo tutti i fogli politici dal primo fino all’ultimo, il Quotidiano, il Pubblico, il Fascicolo, la Cronaca, la Sera di Londra, la Sera di Whitehall, i diciassette Magazzini e le due Riviste: e quantunque amici l’un dell’altro come cani e gatti, a me son cari pur tutti. La libertà, padron mio, sì, la libertà è la gloria del Britanno; e per tuttequante le mie miniere di carbon fossile in Cornovaglia giuro ch’io ne rispetto i mantenitori.”
Stava per isciorinargli una mia diceria; quando uno staffiere batte alla porta, e le gentildonne gridano l’una dopo l’altra come tutte arrangolate e in iscombuglio: “Oimè trista, oimè! che il padrone e la padrona tornano a casa.”
Mi si schiusero allora gli occhi, e venni a conoscimento che il nostro ospite non era che il canovaio a cui nell’assenza del suo signore era saltato in capo il ghiribizzo di far del dotto e del grande e spacciarsi per una Eccellenza; e la verità è ch’egli discorreva di politica al pari di qualsivoglia gentiluomo di provincia. Ma la mia confusione era all’estremo nel vedere entrare il vero padrone colla sua sposa: nè la maraviglia di lui era minore rinvenendo buon banchetto con tali commensali nella sua sala. Rivolto a me ed al mio compagno il saluto, disse quel gentiluomo che dalla visita nostra e da sì inaspettato favore egli e la moglie sua si tenevano tanto onorati, che