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capitolo decimosesto. 95

tesse dare liberamente esecuzione a quanto s’era concertato. Si trassero soltanto però nella camera vicina, dov’era facilissimo l’origliare. Mia moglie incominciò destramente narrando come una delle zittelle Flamboroughs stava per fare un buon partito sposandosi al signor Spanker; e lo scudiero rispondendo che, sì, ella proseguì a dire come a chi aveva ricchezze non mancava mai buon marito; “Ma sciagurate le mèschine che non hanno quattrini! E che vale la bellezza, che valgono, signor Thornhill mio, le virtù tutte della terra e tutte le abilità in questo secolo interessato, avarissimo? Ognun grida: quanto ha di dote colei? e nessuno mai sogna di domandare quanto sia ben educata.” — “Commendo moltissimo, madama,” replicò egli, “la giustezza e la novità delle vostre osservazioni; e s’io fossi re, la cosa certo andrebbe diversamente: allora sì che vedreste venire il tempo della bonaccia per le fanciulle povere, e le prime a cui vorrei procurare provvedimento sarebbero le due nostre giovinette.”

“Ah signore! a voi piace di berteggiarmi. Io sì vorrei essere una regina, e saprei ben io allora additare alla mia maggiore uno sposo che non avrebbe pari. Ma giacchè mi avete destata questa corda; da senno, signor Thornhill, fate voi di propormi un marito che le si convenga. È di diciannove anni, florida, rigogliosa; ha una buona educazione; e nol dico già per superbia, ma nel mio umile cervello fo pensiero ch’ella sia propio compita se alcuna lo fu mai.”

“Se stesse a me lo scegliere, vorrei frugar tanto finchè mi venisse rinvenuto un uomo sì ben forbito di tutto punto da poter fare felice anche un angelo. Una persona prudente, ricca, di buon gusto e d’ottimo cuore dovrebbe essere, a parer mio, lo sposo ch’ella merita.” — “Eh sì! ma ne conoscete voi alcuno su quel torno?” — “No, in fede mia: egli è un volere urtare il capo nel muro l’andare in cerca d’una persona degna d’esserle