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— Forse non ne ebbe il tempo.
— E allora perchè, sapendo ciò che l’aspettava, non restò qui e non fece venir sua figlia? È una sciocchezza: io non ci credo!
— Ma! — disse Giovanna. — Tu dici ogni cosa, tu credi e non credi! Che ti faccio io?
— E del resto! Prepariamo la risposta; tentare non nuoce.
— Io ci credo, io ci credo! — affermò convinta Giovanna, levandosi ritta. — Andiamo nello studio.
Entrarono nello studio. Cosimo era a caccia, e quindi le signorine si presero la più ampia libertà davanti alla sua grande e ingombra scrivania, dove la carta bollata guardava in cagnesco le trionfanti carte musicali, manoscritte e stampate, e dove i romanzi opprimevano i codici in modo indegno....
— Perchè non lo diciamo a Cosimo? — domandò Giovanna, mettendosi a scrivere.
— Ne riderebbe come Salvatore Brindis, e manderebbe tutto per aria. Glielo diremo più tardi. Scrivi — disse Elena.
Appoggiò i gomiti alla scrivania, ed esaminando un manoscritto di musica, cominciò a dettare. Giovanna scriveva accuratamente, ripetendo l’ultima parola scritta quando Elena si fermava, e sentiva una certa trepidazione, quasi stesse compiendo un atto solenne.
Il che non impedì ad Elena di gridarle: