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vestito di seta nera, che le era servito da damigella, da sposa e da vedova; ma quella sera, avendola le signore Marchis sorpresa in veste da casa, non le avevano permesso d’abbigliarsi.
— Oh, guardino come sono! — aveva esclamato, aprendo le braccia e guardandosi.
— Lasci stare, lasci stare! — rispose la signora Marchis, tirandola per la mano — sappiamo come si sta in casa. Lei poi che lavora tanto, che ha tanto da fare!
Anche Cosimo fu sorpreso al piano; altrimenti si sarebbe volentieri eclissato, perchè nutriva una speciale antipatia per la bella Peppina Marchis, e il vedersela lì davanti, bianca, stecchita e senza espressione, invece di dargli un godimento estetico, lo metteva di mal umore.
Dopo certi complimenti asciutti e quasi ironici, Cosimo si rimise a suonare con indifferenza. E suonava il finale dell’Aida, quando s’aprì la porta, e una domestica sporgendo rispettosamente la testa nel vano, disse:
— Il dottore, c’è gente che la vuole.
— C’è gente che ti vuole, Cosimo — ripetè Elena, la sorella maggiore.
— Cosa? — chiese egli fermandosi e sollevando la testa.
— C’è gente nello studio — disse la serva.
— Chi è? — domandò egli rizzandosi. Era tanto alto che la sua testa sporgeva tutta al di sopra del pianoforte.