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nobilissima famiglia d’origine arborense; anzi questa famiglia discendeva precisamele dagli Arborea, ed in principio possedeva titolo comitale; ma dopo la disfatta di Leonardo d’Alagon, venuti gli Aragonesi, un lontano avo di donna Francesca aveva perduto il dominio e le pergamene, ed era stato esiliato. Così gli ultimi rampolli, vivendo a Nuoro, conservavano la nobiltà del sangue e si ostinavano a pretenderla anche nel titolo; e donna Francesca, sposando un pedestre borghese, anzi un popolano arricchito — morto da una quindicina d’anni — era rimasta dama fino alle unghie.

Ciò non le impediva, quella sera, d’indossare una toeletta poco conveniente per ricevimento; un guarnellino nero-verdognolo, una giacca lunga d’antico taglio e uno scialletto al collo.

I vestitini eleganti delle figlie e il finissimo costume grigio di Cosimo contrastavano assai con l’abbigliamento modesto della madre; eppure era molto più dama lei dentro la sua giacca rassomigliante più ad un sacco che ad altro, che essi nei loro abbigliamenti all’ultima moda. C’era tanta spigliatezza e delicatezza nei movimenti delle sue mani fini, del suo viso bianco e fresco, degli occhi grandi e neri, della fronte celata nelle tempie da due tonde di capelli lisci e grigi, che anche un gallo avrebbe riconosciuto in lei un’antica dama sarda.

Quando riceveva soleva vestirsi bene, con un