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faceva camminare il cavallo; Domenico rideva, guardando di sotto in su il babbo, e Cicchedda batteva le mani in mezzo alla via.

Il riso di Domenico guarì più che altro la ferita d’Alessio; quando il dolore voleva investirlo egli sapeva dove ricorrere per salvarsi; pensava ad un visetto rosso e fresco, un po’ scabroso come le pesche mature, pieno di fossette e di malìe; agli occhi, ai dentini, alle manine del bambino, e questo lo calmava.

Alessio possedeva molto bestiame, molte terre; aveva una infinità di affari e perciò era sempre affaccendato e in relazione con persone alte e basse; e tutto questo andirivieni, in campagna e in città, assorbiva il suo tempo, lo distraeva dal suo dolore. Non tardò a riprendere il suo solito umore, un po’ serio e taciturno, ma sempre eguale e d una gentilezza quasi signorile; e vedendolo ringiovanire, con gli occhi nuovamente fieri ed espressivi, la persona raddrizzata, i capelli e la barba pettinati, il viso d’un pallore bronzino, sano e naturale; vedendolo riprendere i suoi affari, stabilirsi in casa altrui, camminare, mangiare e parlare come se nulla fosse stato, Cicchedda si convinse ch’egli non aveva cuore!