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l’aveva deposto sull’asinello, e continuò a piangere sul lembo del suo grembiale turchino; ma pensò:
— Ora Alessio tornerà qui; bisogna che ci venga più spesso perchè avranno più da fare....
Infatti Alessio rientrò in casa dello zio tre giorni dopo, all’annottare; in segno di lutto gravissimo portava la barba lunga, il cappotto chiuso e il cappuccio tirato sul viso; aveva gli occhi infossati, tanto che non se ne distingueva il colore, ed era pallido come un cadavere. Non cercò di riveder Domenico, che dormiva già, non ne domandò notizie; e Cicchedda, che aveva spiato il suo arrivo, lo guardò curiosamente, seguendolo in ogni suo movimento, senza osare di rivolgergli la parola.
Anche gli altri, del resto, non aprivano bocca; la morte, il lutto, la tristezza, mettevano come una grave soggezione fra loro. Fu una serata lugubre; non si poteva discorrere di nulla, nè dei propri nè degli altrui affari, e il ricordo della morta stava troppo fisso nel pensiero di Alessio perchè si osasse parlare di lei.
Fuori pioveva, pioveva; si sentiva gorgogliare il fango e si sentiva la miseria per le viuzze del povero rione, abitato da povera gente; era una di quelle tristissime notti di primavera in cui pare che l’inverno, improvvisamente, voglia riprendere il suo impero.
Alessio credeva di morire, aveva la febbre e