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Agada, benchè colpita da queste giuste osservazioni, non disse nulla, e ripiegandosi su sè stessa gettò il caffè macinato nell’acqua bollente, rimescolandola rapidamente sul fuoco.
— Io non posso veder questa zia Franzisca — continuò Cicchedda — si ficca da per tutto, entra in ogni buco e si crede necessaria in ogni casa. Scrocca sempre; la prenderei a pedate. Vi metterete il lutto se muore Maria Piscu? — domandò infine, facendo alterar la padrona.
— E finiscila, e finiscila! E misura le parole prima di dirle.
— Cosa ho detto?
— Va e spingi l’asino, chè non sei buona ad altro. Levamiti dai piedi.
Cicchedda non si offese e uscì saltellando; appena riapri la porticina della dommo ’e mola le galline cominciarono a scender svolazzando da un asse pasto sotto una sporgenza del letto, e il gallo cantò.
— Chicchiricchì! — ripetè Cicchedda, e non seppe e veramente non cercò di spiegarsi perchè la triste notizia della malattia di Maria Piscu le metteva una strana allegria in corpo.
— Faresti meglio a spinger tuo fratello, che è fermo. Se ci vengo! — gridò Costanza, uscendo scalza e a testa nuda dal porticato.
L’asinello infatti, chi sa da quando, stava fermo, forse dormiva in piedi sotto la sua maschera