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la portò verso la piccola stazione della ferrovia, recentemente inaugurata.

L’aspetto della stazione era oltre ogni dire triste e misero, e la veduta dei primi vicinati di Nuoro, molto poveri e poco puliti, accresceva la spiacevole sensazione. Ma spingendo lo sguardo, nel pomeriggio tiepido e celeste d’autunno, si godeva una visione molto pittoresca.

Nuoro appariva quasi addossata alle falde dell’Orthobene, del quale, nel chiarore del pomeriggio soleggiato, si scorgevano nitidamente le rocce grige, i clivi leggermente verdi e i boschi resi bruni dalla freschezza e dalle piogge d’autunno.

E a destra della cattedrale la collinetta di Sant’Onofrio, coperta di quel tenero verde d’autunno che fa sognare, si abbandonava alle carezze del sole, come una fanciulla freddolosa e malata, come Elena stessa che, ferma sulla spianata incolta e triste della livida stazione, guardava lassù con gli occhi socchiusi, un po’ stanchi per la luce chiara e diffusa del sole.

Richiamata da Cosimo, Elena si volse e lo seguì per un viottolo che, partendo dalla stazione, andava verso nord, stretto, insinuato fra gli ultimi orticelli della città e la campagna avvallata, su cui dominava. La visione cambiava completamente d’aspetto, ed Elena si fermò di nuovo a guardare; e poichè è una grande verità quella di Amiel che chaque paysage est un état d’âme,