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Macchie di cisto, robustissime, s’intricavano con le roveri, dando all’aria ferma e luminosa del meriggio un profumo ardente; rocce grige, coperte dà muschio color ruggine s’accavallavano intorno; vacche nere macchiate in fronte e sul dorso di chiazze lattee pascolavano silenziose e sonnolente, tuffando il muso nel fieno e scuotendo lentamente la coda; una gazza fischiava dall’alto d’un sovero, e il suo fischio acuto, che pareva od era un grido di richiamo, risuonava lontano e dava tutta l’impressione di quella strana solitudine.

Cosimo percepì ogni cosa, e sentì un vago senso di mistero e d’inquietudine. Alessio lo fece salire sulle rocce, pregandolo di guardare per una fessura abbastanza larga, in fondo al bizzarro dolmen: per veder meglio egli spiò con un occhio solo, e le sue sopracciglia, aggrottandosi, ebbero un rapido tremore di raccapriccio e timore. Vide un uomo ammazzato in fondo alle rocce: vestiva da cacciatore e dalla sua posizione si scorgeva bene che, dopo ucciso, era stato gettato violentemente là dentro.

— Ebbene, Alessio? Ebbene? — domandò Cosimo sollevandosi; e Alessio disse che quel morto era Sebastiano Murta, soprannominato Scoppetta, da Nuoro, bandito gravato da una taglia di tremila lire. — Vivo o morto, capisci?

Cosimo capiva perfettamente, ma gli repugnò