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verso di farla cessare, o di farle dire la causa del suo spasimo.
— Ma infine! — disse Agada seccata. — Mi vien voglia di gettarti la conocchia sul capo! Ma non ti farebbe nulla. Senti, se la finisci, domenica vai ad Oliena con Costanza...
— Davvero? — gridò allora Cicchedda, rasserenandosi.
II.
L’indomani Salvatore si levò all’alba, e subito sellò il cavallo, ma si sentiva le palpebre pesanti e andava in campagna di mala voglia. Era un’alba grigiastra e calma d’aprile; i rami ancor spogli del fico stillavano una triste rugiada senza riflessi, e nel cortile regnava un gran silenzio quasi notturno.
— Dammi la bisaccia — disse Salvatore alla servetta, che usciva dalla dommo ’e mola dopo aver aggiogato l’asinello alla macina.
— Padrona — gridò Cicchedda dirigendosi verso la cucina — il padrone vuol la bisaccia.
— Che il diavolo ti bastoni, non puoi portarmela tu? — esclamò Salvatore slanciandosi verso la cucina.
Agada accendeva il fuoco e non si mosse, ma