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messo un errore nel suo ufficio, e, per punizione, era stato mandato in Sardegna. Sara non volle seguirlo, adducendogli per scusa che se il vecchio De-Cerere veniva a saperlo se ne sarebbe addolorato e forse avrebbe scoperto la loro unione, e Paolo, benchè a malincuore, trovando giusta la ragione, era partito solo. Nella lontananza Sara s’era lentamente raffreddata verso il marito, ed egli aveva trascorso due anni tristissimi a Nuoro, confortato appena dalla gentile amicizia delle Bancu, verso cui si sentiva irresistibilmente attratto. Al ritorno in continente aveva riveduto Sara, ma la sua fredda accoglienza, il diniego persistente a seguirlo nella sua nuova residenza, gli avevano messo nell’anima il veleno di dubbi tormentosi: e dopo un lungo strazio, egli, in quei giorni, s’era co’ suoi occhi stessi convinto della triste verità: Sara lo tradiva!

La triste, terribile lettera, terminava così: «Sono passato per tormenti incredibili, ma ora mi sento più calmo, e la tua lettera mi è piovuta in cuore come rugiada celeste. Già la mia ultima lettera ha dovuto farti sentire il mio bisogno di altra luce migliore, di sogni più alti e sereni.

«Non temere, io non chiederò mai a te quell’amore che Sara mi ha dato. Ma poichè da questo grande e vivo dolore, io esco purificato, benedico Dio che ti manda incontro a me, come dolce salvatrice dell’anima mia. Quanto vorrei