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faccio con l’animo puro, come l’avrei fatto alla mia stessa, santissima madre.»
In dodici fitte paginette, scritte febbrilmente, narrava la sua triste storia.
Egli era di religione ebrea; lo era perchè tali erano stati i suoi avi, e sua madre, e suo padre, ancor vivo, ch’egli adorava. Aveva trascorso una triste giovinezza senza luce d’amore, mentre verso l’amore lo portava tutta la sua natura poetica e ardente. Ma nessuna donna, fino a tarda età, l’aveva amato come egli sapeva amare e come sognava d’essere amato. Però un giorno apparve sulla sua via una donna giovine e bella, ed egli credè d’aver finalmente trovato il suo sogno. Era la donna di cui altra volta aveva vagamente parlato ad Elena, facendole intendere d’averla dimenticata, la donna che pregava per lui, mentre egli attraversava sventure d’ogni sorta. Si chiamava Sara, era anch’essa ebrea, era sola, bionda e graziosa.
Una passione intensa li aveva uniti, cinque o sei anni prima, ma il padre di Paolo s’era risolutamente opposto al loro matrimonio, poichè Sara non gli sembrava degna del figlio. Allora Paolo, per non addolorare il vecchio padre, aveva sposato segretamente, col rito ebreo, la giovine donna. Pur tenendo segrete le loro relazioni, due o tre anni di felicità inenarrabile erano trascorsi per gli strani sposi. Un giorno però De-Cerere aveva involontariamente com-
Deledda, Il tesoro. | 14 |