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ho fatto nulla; non resi mai alcuna persona felice, a nessuno è stata utile la mia esistenza, e molto spesso mi domando se non era meglio ch’io non fossi nato!»
E la lettera dolorosa così terminava:
«E tu perdonami, Elena; io non debbo oggi proseguire, anzi non avrei dovuto incominciare. Ti ho lasciato scorger troppo attraverso giorni dolorosi. Cerco spesso in alto la stella guidatrice, ma questa stella sembra oscurarsi nei miei orizzonti. Forse ho sognato troppo; ed ora sento freddo, e mi pare a certe ore di scender vertiginosamene in un abisso profondo e tenebroso. Scuoto le ali, ritentando il volo nell’alto, ma nell’alto mi pare che tutti gli astri si spengano. Tu puoi sollevarmi ancora, Elena, cantando al vecchio fanciullo la tua ninna-nanna soave; ma quando la tua voce tace, ed apro gli occhi, mi spavento e gemo».
Nonostante ciò, ella sentì che ben poco ella contava davanti alla misteriosa desolazione di Paolo: e un’angoscia fredda ed acuta le serrò così fortemente il cuore, che non le permise neppure di piangere.
E Paolo De-Cerere, nell’egoismo del suo dolore, non s’accorse quanto la faceva soffrire: ella gli parve una creatura forte e meravigliosa, che penetrasse nel suo cuore solo per strapparne le più angosciose spine e curarne le piaghe.