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— Perchè imprechi la mia casa? La mia casa che ti diede da mangiare e da bere?...

— .... E il veleno...

— Il veleno te lo sei preso tu! Fortuna tua se avessi dato retta a chi ti sembrava nemico, mentre.... Il veleno ce lo hai dato tu, ingrata....

— Infine! — diss’ella arrossendo. — Cosa vi devo? Mi avete dato da mangiare e da bere, ma mi avete spolpato le ossa col lavoro. Mi avete insegnato a servirvi, ma non ad amarvi. Mi avete....

— Basta! — gridò Salvatore; e Domenico, che trascurava il cavallino per badare curioso alla scena, ripetè anche egli, battendo la manina sul letto: — Basta!

Salvatore si volse vivamente, lo fissò e s’intenerì. Ma Cicchedda continuò amaramente a sfogare tutto il suo rancore, e forse esagerandoli narrò tutti i mali trattamenti, le angoscie, le umiliazioni sofferte in silenzio.

Salvatore l’ascoltò e la guardò intensamente: poi le espresse la sua meraviglia.

— Che ti fossi fatta una bella ragazza lo sapevo; ma che la tua lingua si fosse sciolta così, non lo credevo.... Eppure non ti volevamo male: oh, se tu avessi dato ascolto a noi! Uno stato conveniente non ti mancava! Invece....

— Invece? — ripetè ella fieramente, seccata.

Salvatore allora le disse parole roventi, tanto