Questa pagina è stata trascritta, formattata e riletta. |
— 258 — |
parole da dir allo zio; e non trovandole adatte, pensò di svignarsela, o di attender Salvatore sulla via.
Intanto, non vedendolo venir fuori si domandò perchè si tratteneva. Forse per Domenico convalescente? Curioso di sapere ciò che lo zio diceva al bimbo ed a Cicchedda, entrò senza far rumore; e passando di fianco nella porta per non spalancarla, salì la scaletta, trepidando per lo scricchiolìo delle scarpe, e riuscì a porsi non veduto in ascolto.
Cicchedda tuttavia si fè’ sulla porta, e guardando per le scale gridò:
— Chi è?
Nessuno rispose, ed essa rientrò e disse ridendo:
— Credevo fosse Alessio, perchè Alessio è in città, sapete, zio Salvatore?
— E cosa m’importa, sia in città, in campagna, o in casa del diavolo? — disse egli con voce rude. — Io son venuto per visitare te, non lui.
— Sedetevi dunque, zio Salvatore — fece ella con disinvoltura spingendo una sedia.
Ma egli camminava, muovendosi tutto, volgendo intorno, sotto, sopra, i suoi occhi rossi.
Domenico, in guarnellino bianco, seduto sul letto, giocando con un cavallino di latta, guardava ogni tanto lo zio, con grandi occhi meravigliati; e Cicchedda, non ostante la sua disin-