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dentro la dommo ’e mola, ed a lavarsi entro un paiuolo d’acqua bollente, e prese delle vecchie vesti di Costanza, le gettò dal finestrino della porta, senza guardar dentro, gridandole di rivestirsi. Sarebbe potuto magari entrare; tanto la ragazza era sbalordita che non ne avrebbe fatto caso. Quando fu vestita uscì nel cortile, e Salvatore la presentò a spintoni alle donne, dicendo:

— Ora imparatela voi, se volete andare in paradiso, altrimenti andate dove più vi aggrada!

— Sta a vedere — disse Agada, accomodando le vesti intorno all’esile corpo della ragazza. E la interrogò se sapeva far qualche cosa, ma la poveretta non sapeva neppur parlare, e non capiva perfettamente quanto le dicevano.

Ci volle del tempo per insegnarle a tirarsi bene i lembi della corta camicia sotto la cintura delle sottane, a spazzare, a lavar i piatti ed aizzar l’asinello intorno alla mola: Costanza la imprecava senza pietà, ed Agada le strappava l’anima a furia di fatiche. Ma tale era il benessere provato, in confronto alla vita randagia e affamata della sua infanzia, era tanto felice di mangiare ogni giorno, di vestir scarpe, di dormire — e che sonno! — in un vero letto, che a Cicchedda sembrava di esser in paradiso, e provava una gratitudine profonda per i padroni. S’era affezionata a loro come un cane; avrebbe fatto pazzie per contentarli; amava con lo stesso affetto ogni particolarità della casa, il fico, la