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sua infelicità, rinfacciando al marito tutta la sua vita, gli errori, le debolezze; e lo maledisse e lo imprecò. Allora egli s’irritò davvero, e alzò la voce.
Il rumore dell’alterco risuonava per il cortile nella notte tranquilla. Ritta sul portico Costanza ascoltava; non afferrava tutte le parole, ma capiva di che si trattasse e comprendendo che finalmente l’insopportabile situazione stava per sciogliersi, provava una maligna sensazione di gioia e d’angoscia. Ella salì piano piano le scale, e andò ad origliare alla porta degli zii: allora Cicchedda, pallida e tremante, uscì a sua volta nel portico e cercò d’ascoltare.
Ma che cosa accadeva là sopra? Le voci si facevano esasperate e rauche: si sentì il rumore di una lotta, un oggetto pesante cadde per terra, e risuonò un grido acuto ed angoscioso di Costanza: — Zia mia! zia mia!... — Cicchedda si slanciò, fuori di sè, per le scale, e si presentò sulla porta spalancata: vide confusamente il pavimento inondato d’acqua, e mentre guardava con stupore, Costanza le si precipitò col pugno teso, gridandole: — Per te, vile!
Diede addietro spaventata, ma tosto si accorse che il male non era irrimediabile. Salvatore aveva semplicemente dato uno schiaffo a sua moglie, e rovesciato involontariamente il paiolino dell’acqua tiepida. Per l’effetto di queste due cause, zia Agada si era calmata come per in-