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presso il focolare, Costanza le rivolse un’occhiata profonda.

La servetta era una povera e strana creatura sui diciotto anni, bionda e con grandi occhi stupidi e sonnolenti. Era del villaggio di Oliena, ignorantissima e miserissima; due anni prima veniva a Nuoro dal suo villaggio per chiedere ancora l’elemosina. Un giorno Salvatore Brindis ritornando a cavallo dalla valle, l’aveva incontrata sullo stradale, morente di fame e di freddo e le aveva domandato quanti anni aveva.

— Perchè non lavori? — le disse poi brutalmente. — Alla tua età a Nuoro le ragazze son serve, e a Mamojada vanno a zappare che è una stessa bellezza.

Poi ricordandosi che sua moglie cercava una servetta, gli venne l’idea di portargliela. E gliela portò.

Cicchedda non sapeva nulla; era piena di stracci e di pidocchi e Agada Brindis voleva mandarla via insieme a suo marito ch’era rientrato a casa con quel l’arnese.

Ma Salvatore coi suoi grandi difetti possedeva anche molto buon cuore, e riuscì a persuader la moglie di mantener la bimba, dal momento che si trattava di darle solo gli alimenti; e siccome ad Agada repugnava l’olianese sopratutto per la sua sporcizia, egli, che aveva del tempo, prese Cicchedda per i capelli arruffati, glieli rase e li gettò sul fuoco. Poi la costrinse a rinchiudersi