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— Dormi! — disse con voce velata, e non udì neppure le ultime parole del marito.

L’indomani Alessio non si levò. Aveva trascorso una notte orrenda, con spasimi alla gamba e un principio di febbre, che gli aveva reso il sonno penoso, affannoso, pieno delle impressioni e delle visioni della giornata, ma trasformate in sogni confusi e mostruosi. Tutta la notte aveva vagamente atteso Cicchedda, desiderandola vicina, ma sentendo che neppur la sua presenza l’avrebbe sollevato: essa però non era venuta, sicura che Costanza la sorvegliava. All’alba, udendo un passo nel cortile, chiamò:

— Cicchedda!

Invece entrò Costanza; ella gli toccò la fronte con la punta delle dita, e guardandolo affettuosamente gli chiese con premura:

— Che vuoi? Come hai passato la notte? Cicchedda è andata per il medico. Ora ti porterò un po’ di caffè.

Ma egli non voleva nè medico nè caffè: voleva vedere Cicchedda, e disse:

— Quando Domenico si sveglia, fammelo portare da Cicchedda....

La sua voce era lamentosa; il volto affilato dalle sofferenze della notte, e gli occhi smorti, nella prima grigia luce dell’alba invernale, apparivano quasi vinti da lunga malattia.

Costanza uscì pensando come mai quella stre-