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preso; e fremeva di rabbia, non tanto per la perdita quanto per l’affronto subito; ma conservava un mirabile sangue freddo, freddissimo anzi, con tanta neve che gli piombava addosso, e col vento che a momenti, battendogli di fronte, faceva fermare il cavallo.

Salvatore si sentiva meno sicuro; non aveva paura, certo, ma meno svelto e freddo di Alessio, soffriva della faticosa cavalcata, e i pensieri gli si intorbidivano; a momenti quel bagliore bianco ed uniforme che sfumava ogni cosa in un’allucinazione strana e suggestiva, gli dava una vertigine pericolosa. Solo per un miracolo d’equilibrio non piombava a capo fitto sulla neve; ma più d’una volta rise fra sè, d’un riso caratteristico, causatogli dalla percezione della figura ridicola che avrebbe fatto cadendo, e quasi si trattasse d’un’altra persona, mormorò:

— Aspetta! Aspetta! Ora ci siamo!

E avanti, avanti, i due generosi cavalli forti e pazienti, con la testa atteggiata ad una rassegnazione, salivano, evitando con mirabile istinto ogni pericolo, ritrovando la via sotto la neve, fra i cespugli che il vento liberava dal folto mantello bianco, fra le rupi cangiate in immensi blocchi di marmo, sotto i boschi coperti da grandi merletti di cui il vento disfaceva ad ogni soffio l’incanto.

Per molto tempo camminarono così; zio Salvatore aveva esaurito tutte le sue imprecazioni, e