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porse un giornale politico, un altro di mode, una cartolina per donna Francesca e una lettera per lei.

— Grazie — diss’ella, chiudendo la porta e guardando la lettera quadrata, dura e bianca, dalla soprascritta angolare, ma chiara e ferma, che subito riconobbe. Salì le scale leggendo la cartolina, entrò nella sua camera, mise i giornali sul tavolino, e avvicinatasi alla finestra aprì la lettera. Era di Paolo De-Cerere. A misura che leggeva, Elena diventava leggermente rossa, e un sorriso vago, quasi triste, le increspava le labbra; grandi complimenti doveva rivolgerle il lontano amico, per commuoverla e farla sorridere così.

Quando ebbe finito, alzò la testa, e appoggiandola lievemente ai vetri aperti, guardò lontano, con una vaga espressione di dolcezza e di tristezza negli occhi. E pensò. Doveva mostrar la lettera a Giovanna? Doveva tacer d’averla ricevuta? Ciò le ripugnava: non sapeva mentire con sua sorella; era meglio mostrarle la lettera, tanto più che Giovanna non l’avrebbe neppur letta.

Nelle sue prime lettere Paolo s’era rivolto ad entrambe le sue piccole amiche, ma siccome era sempre Elena che gli rispondeva, aveva finito col rivolgersi soltanto a lei. E Giovanna allora diceva con dispetto infantile:

— Ah, egli scrive a te? E tu rispondigli, ma a